Storie dentro le case: Luca

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“All’inizio della pandemia, quando l’ospedale ha cambiato assetto per accogliere ed isolare i pazienti contagiati dal Covid19, andavo al lavoro con una certa ansia di fondo: il timore nasceva dai rischi di essere contagiato, ma anche dal fatto che si stava affrontando una patologia nuova con armi farmacologiche “spuntate” di dubbia efficacia. Anche i primi giorni sul campo, ricoperto dalla testa ai piedi dai dispositivi di protezione, sono stati piuttosto impegnativi sia fisicamente (non si poteva bere o espletare i bisogni fisiologici per ore per non dover utilizzare troppi presidi protettivi che erano contingentati), sia psicologicamente”. Luca Dutto, medico del Santa Croce, racconta il suo lavoro in questo tempo emergenziale. “Dal punto di vista strettamente clinico la tipologia di pazienti non era molto diversa dal solito. Per la Medicina d’Urgenza ed il Pronto Soccorso, infatti, i pazienti con insufficienza respiratoria sono all’ordine del giorno, tuttavia in questa circostanza i pazienti vivevano la malattia con terrore e sgomento forse per le notizie drammatiche che provenivano dalla Lombardia e dal Veneto. A questo si aggiungeva il fatto di non potere ricevere visite da parte dei parenti e degli amici. Una delle sensazioni che ho spesso condiviso con i miei colleghi è stata la spersonalizzazione del rapporto medico-paziente: i pazienti infatti non potevano riconoscere chi avevano davanti a causa delle maschere protettive, medici ed infermieri dovevano rimanere il meno possibile a contatto con i malati e i trattamenti con i caschi per la ventilazione non invasiva riducevano la possibilità di comunicare. Nella sfortuna forse i meno colpiti erano quegli anziani con declino cognitivo che vivevano la situazione in modo ‘asettico’ anche se alla loro vista potevamo sembrare degli extraterrestri. Una certa quota di ansia è poi derivata dal fatto che abbiamo visto molti colleghi sanitari venire contagiati ed essere ricoverati. Questo ha provocato in me ed in molti altri una grossa breccia in quell’illusorio pensiero di essere ‘immuni’ dalle malattie proprio di chi fa questo lavoro.

Un altro problema che abbiamo dovuto affrontare è stato quello di cadere in errori cognitivi pericolosi per i pazienti: si è rischiato, infatti, di essere attratti in modo eccessivo dalla patologia virale del Covid e trascurare le altre patologie concomitanti. Con il passare dei giorni io ed i miei colleghi ci siamo adattati alla nuova situazione, grazie sia allo spirito adattativo proprio della natura umana, sia alla riduzione dell’ondata di afflusso indotta dalle misure restrittive ed alla maggior conoscenza di questa nuova patologia”.

Luca però è anche marito di Ilaria e papà di due bambini, Caterina e Andrea, e così racconta questo tempo a livello di famiglia: “La ‘reclusione’ obbligata aumenta il livello di ansia e riduce la tolleranza reciproca, i programmi televisivi e i social-media contribuiscono ad accrescere questi sentimenti. L’impossibilità di frequentare i nonni alimenta una sensazione di nostalgia mista a preoccupazione per la loro salute.

La routine quotidiana è stata rivoluzionata dalla chiusura delle scuole ed i ragazzi sono molto più nervosi.

Il più fortunato alla fine sono io che anche se in condizioni ‘estreme’ qualche contatto esterno lo mantengo.

Sono proprio i contatti con gli altri che diamo per scontati a mancare di più, ma mancano anche le passeggiate e le corse. Questa esperienza comunque ci sta insegnando quanto la nostra vita sia un puzzle di contatti sociali che hanno acquisito, perdendoli, un valore che non conoscevamo prima”.

“Un appuntamento imperdibile è diventata la Messa domenicale di don Ocio su Youtube, che qualche volta ci permettiamo di seguire in pigiama (chi lo avrebbe mai pensato), ed i suoi brevi interventi quotidiani.

Proprio l’impossibilità di frequentare fisicamente gli ambienti parrocchiali ci sta facendo capire quanto le attività che sembrano non essenziali abbiano in realtà un ruolo profondo ed importante nella nostra vita di parrocchiani. Ai ragazzi mancano ovviamente i giochi in oratorio. E hanno ‘invidiato’ bonariamente il buon Enrico che ha servito Messa. Caterina ha detto che ha bisogno di abbracciare Don Ocio”.

Che cosa ci lascerà questo tempo? “Sarei poco sincero a dire che tornerà tutto come prima. Molte persone hanno perso parenti o amici. Quando verrò dato il ‘via libera’ dalle autorità, all’iniziale impulso di lasciarsi andare, farà da contraltare una certa diffidenza nel condividere il proprio tempo con gli altri.

Ci vorranno molti mesi per tornare ad una parziale normalità. Dovremo imparare a relazionarci senza usare la corporeità che è importantissima nelle relazioni fra persone. Speriamo che gli scienziati nel futuro prossimo ci offrano qualche opportunità per ridurre i rischi sanitari e, perché no, il buon Dio ci metta del suo”.

2020-05-26 15:50:35
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